Teatro

DON GIOVANNI A ROVIGO

DON GIOVANNI A ROVIGO

Bianco, nero e rosso: sono i tre colori che hanno caratterizzato questo Don Giovanni di Mozart, nuovo allestimento del teatro dell’Opera Giocosa di Savona in coproduzione con il Carlo Felice di Genova e il teatro Sociale di Rovigo, un allestimento decisamente minimalista, forse anche a causa delle scarse risorse economiche come ormai consuetudine dei tempi.
La regia di Elisabetta Courir, dietro un'apparente semplicità, nasconde soluzioni raffinate alternate a trovate non sempre condivisibili. Lo scenografo Guido Fiorato appronta una scena spoglia, dominata da cinque elementi mobili che diventano di volta in volta bare, tavoli, panche e porte, innescando un cortocircuito di significati in accordo con lo sterminato sottotesto reso possibile dall’opera mozartiana. Sul palco li vediamo per tutta la durata dello spettacolo con una pedana inclinata e uno sfondo neutro di colore mutevole a seconda dell’illuminazione. La conformazione minimale delle scene di per sé non sarebbe male se fosse stata supportata da scelte registiche più coerenti e solide. Si sceglie come fil rouge la morte - tra gli aspetti essenziali nel dramma - e si utilizzano le bare come elemento dominante, ora nella reale funzione di feretri, ora come porte e nascondigli nel palazzo di Don Giovanni, o ancora come ultimo desco apparecchiato per saziare il suo barbaro appetito.
In questa tragedia notturna, Don Giovanni è un principe delle tenebre: fin dalle prime battute il suo sterminato mantello nero diventa prima un lenzuolo per dominare Donna Anna, poi un drappo nel quale avvolgere la salma del Commendatore, infine un cielo stellato dal quale emerge come luna (soluzione che molto toglie della solennità del finale) il viso cadaverico del Commendatore assassinato che richiama a sé il dissoluto.
Non tutto riesce a convincere: se alcuni scostamenti dal libretto scavano il senso della pagina mozartiana, altri risultano forzati, come la scelta di far cantare a Don Giovanni in persona (e non a Leporello travestito) la serenata a Donna Elvira, facendo perdere il senso della burla. Convince poco anche la trasformazione di Donna Elvira in una sorta di nipponica vendicatrice a caccia di Don Giovanni: armata progressivamente di mitra, pugnale, pistola, moschetto e lazo (il rischio del macchiettismo è sempre dietro l'angolo).
Non mancano tuttavia momenti visivamente gradevoli e originali come la Scena del Catalogo nella quale Leporello sfodera dal non picciol libro immagini che riproducono le sagome delle innumerevoli belle, oppure scene ad effetto come la fuga di Don Giovanni aggrappato al lampadario a chiusura del primo atto.
Nel ruolo del titolo, in una sostituzione all’ultimo minuto dell’indisposto Andrea Concetti, il giovane Marco Vinco: di bella presenza scenica, nonostante qualche incertezza dovuta senza dubbio alla veloce preparazione, ha dimostrato una voce piacevole, ben modulata e di sicuro effetto. Donna Anna è stata affidata a Irina Dubrovskaya; la sua spiccata sensibilità artistica e la tecnica solida hanno permesso al soprano siberiano di affrontare il ruolo in modo più che convincente: decisa e risoluta e contemporaneamente dolce, la Dubrovskaya dipinge ogni sfumatura psicologica del personaggio con straordinaria efficacia e riesce a coniugare perfettamente canto e gestualità regalandoci un’interpretazione di commovente bellezza, che le ha consentito di superare con buoni risultati tutti gli scogli. Francesco Marsiglia in Don Ottavio, forte di una dizione ottima e un timbro chiaro assai gradevole, esibisce un fraseggio straordinariamente elegante e riceve applausi meritati e calorosi al termine di entrambe le sue arie, in particolare ne Il mio tesoro intanto cantata con gusto e pulizia di suono. La Donna Elvira di Mina Yamazaki, non in splendida forma, dopo un inizio incerto ha dato una più che sufficiente prova canora e interpretativa. Bravo il Leporello di Simone Del Savio: ottimo attore, bella voce, sempre in tono e gradevole per uno dei personaggi più riusciti della serata. Linda Campanella in Zerlina ha dimostrato una tecnica solida e sicura che, unita alle sue grandi capacità d’interprete, le ha permesso di dar vita ad un frizzante e disinvolto personaggio. Buona anche l’interpretazione canora di Francesco Verna, un convincente Masetto. D’eccezionale potenza, infine, il Commendatore di Manrico Signorini, apprezzato specialmente nelle pagine conclusive del secondo atto che lo vede protagonista.
Bravo il coro del teatro Carlo Felice.
Sul podio, il maestro Giovanni Di Stefano opta per tempi rapidi ma non frenetici, riuscendo a dare una lettura sempre ordinata della complessa pagina mozartiana, mantenendo costante l'attenzione dell'ascoltatore nell'alternarsi di recitativi e pezzi chiusi. L'orchestra del Carlo Felice dà un'esecuzione molto professionale.